Il mistero del dolore richiede sobrietà di considerazioni e pensieri.
La tenerezza della chiesa fin dalle sue origini ha visto il terreno infido della sofferenza e della perdita della salute.
Nel cuore essa avverte ancora il grido di Gesù sulla croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato” seguito dalla consegna nelle mani del Padre.
Stare vicino a chi è nel tempo della prova: questo è il senso di un segno semplice come l’unzione dei malati.
Nella lettera di Giacomo è scritto:
"Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con l’olio, nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e, se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti"(Gc 5,14-16).
Il rito dell’ unzione dei malati riprende la sobrietà di questa invocazione: chi è malato (infermo, debole..) chiami a se i presbiteri della chiesa.
E’ il sacramento che ci rende vicino il “compagno del nostro soffrire”, l’ “uomo dei dolori che ben conosce il patire” non disperando dal ricevere da Gesù il dono della salute.
“Partiti, predicavano che la gente si convertisse, ungevano di olio molti infermi e questi guarivano” (Mc 6,12)
Dunque non un sacramento in extremis, di fine vita: chi sta morendo,lo si accompagna con il viatico, l’ultima comunione.
L’Unzione è un segno per la fede e la salute in tempo di grave malattia, prima di affrontare una operazione chirurgica, in situazione di degenerazione progressiva della malattia, nella vecchiaia.
La malattia ci mette alla prova duramente: chiediamo la vicinanza del Medico celeste.
“Chi è malato, chiami”.
Anche il sacerdote diventa compagno del proprio soffrire e si unisce allo stesso gemito: ”Fino a quando, Signore?” |